Nuovi Luoghi: Cinema in Sapienza – Quando l’Arte unisce gli Sguardi

Francesco Malgeri

Febbraio 25, 2019

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Esiste un luogo in cui il cinema non rappresenta più semplicemente quel luogo circoscritto, quella sala buia che assume significato al solo momento della proiezione. C’è un luogo in cui il cinema non riconduce solamente a quel mondo dorato che quotidianamente ci scorre dinanzi agli occhi, fatto di sfarzo, celebrità, irraggiungibile e quasi intangibile meraviglia. Esiste un luogo in cui il cinema, silenziosamente, velatamente, incrocia il nostro sguardo, sfiora la nostra pelle.

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Cinema in Sapienza nasce così: ricercando quel contatto, quell’intimo sussurro capace di riunire un intero collettivo di studenti d’ogni facoltà intorno allo stesso fondamentale bisogno d’incontrarsi. Lo stesso bisogno attorno al quale ruota la premessa originaria de La Settima Arte stessa. Cicli di proiezioni improntati su un unico tema, dibattiti e confronti con il pubblico intervenuto, dialoghi via social con numerose iniziative parallele, partendo dal medesimo suolo universitario romano.

E non poteva essere che la solitudine il tema esplorato durante il primo ciclo di proiezioni, iniziato al tramonto dell’estate e conclusosi con lo scoccare della stagione invernale: Manchester by the sea di Kenneth Lonergan, Anomalisa di Charlie Kaufman, Her di Spike Jonze e Le fate ignoranti di Ferzan Ozapetek.

La risposta, in termini di affluenza e partecipazione, è stata sorprendente.

Cinema

 

Abbiamo intervistato chi da principio ha dato origine all’iniziativa, tra sensazioni, racconti, obbiettivi e desideri. Nel segno di un unico collettivo:

Allora, il Cinema in Sapienza non nasce quest’anno: è un progetto che avete portato avanti per diverso tempo, o sbaglio?

Francesco C.

Dunque, il Cinema in Sapienza nasce a giugno/luglio scorso, sebbene delle idee, dei progetti di cinema già erano stati portati avanti più o meno cinque anni fa. Poi è successo che a metà dell’ultimo anno accademico, insieme ad altri studenti di cinema, abbiamo pensato a un ciclo di proiezioni con sì alla base la formula del semplice cineforum, ma che avesse anche un lavoro dietro, in modo tale che potesse anche trasmettere di più rispetto alla sola proiezione. Un ciclo di quattro film che ruoti intorno a un singolo tema permette di affrontare e declinare il tema stesso in diversi modi.

Francesco N.

Per aggiungere uno storico: quando è nato il collettivo Cineclandestino, con conseguente ciclo di proiezioni, l’idea, il format era carino. C’era anche un buon seguito di persone che continuava a venire. L’unica lacuna, se vogliamo, si percepiva nella predisposizione del tutto, nell’assenza visibile di un percorso, di un lavoro alle spalle, poiché di fatto era tutto indirizzato al singolo film. Nel nostro caso partì tutto da giugno scorso. Proiettammo Tre manifesti ad Ebbing, Missouri. Non fu facile per via di svariate problematiche tecniche, considerando inoltre che l’affluenza fu di cinquecento persone, a riprova del fatto che la gente apprezza questo tipo di iniziative. Col tempo abbiamo risolto queste problematiche e le proiezioni successive hanno avuto tutte un buon successo.

La volontà di cominciare un percorso del genere, di attirare persone, di creare un collettivo, si basa dunque su una visione del cinema che va al di là della singola proiezione. Si tratta di formare quindi una sorta di mente comune che vada al cinema perché spera di trovarci un punto d’incontro, di contatto con gli altri.

Francesco N.

Certo, tutto ciò nasce e si sviluppa con le locandine e i volantini, ma soprattutto, a livello pratico, attraverso il lancio del sasso nell’oceano, se vogliamo. Noi a settembre abbiamo avviato l’iniziativa autonomamente proiettando Sulla mia pelle. Il fatto che fummo i primi a proiettarlo pubblicamente destò un bel po’ di scalpore in tutta Italia. Questo perché noi rifiutiamo, in qualche modo, il confrontarsi con un tema così delicato, così collettivo, nel buio di una cameretta con Netflix. E il responso, in questo senso, è stato estremamente positivo, una delle rare volte in cui ho visto tale affluenza per un evento del genere.

Dunque, consci degli insuccessi del primissimo ciclo, ma allo stesso tempo delle potenzialità del progetto, consci della validità del contenuto teorico, di questa sfida alla solitudine che il cinema in qualche forma predispone, e data anche la messa in crisi del cinema come luogo di proiezione e della conseguente diffusione delle varie arene che sono sorte in tutta Roma, tutti noi ci siamo sentiti spinti a guardarci negli occhi e a dirci: proviamoci. E alla prima riunione eravamo già una ventina, più o meno.

Sofia

Ed è in un certo senso ciò che ci eravamo prefissati: portare il cinema al di fuori, vissuto nell’insieme, in modo tale da avviare discorsi che inizino una dialettica tra cinema e realtà, tra cinema e noi. Questo perché quando affrontato in ambienti universitari il tema rimane molto ancorato al principio accademico, su tutta una serie di riferimenti e di istituzioni che si pongono a una certa distanza rispetto a noi. Mentre portarlo all’esterno, renderlo accessibile alla collettività, può creare una predisposizione al dibattito, al confronto, e allo stesso tempo creare intersezioni tra chi lo studia e chi magari ne è solo appassionato.

Francesco N.

Se posso aggiungere, la cosa più bella della la prima riunione, oltre alla sorprendente risposta che hanno avuto i passaparola e i volantinaggi, fu il non parlare volutamente di nessun film. Noi non abbiamo parlato di cosa proiettare. Abbiamo soltanto discusso su cosa significasse per noi questo percorso. Un dibattito di due ore buone nel quale ci si è confrontati sul perché ognuno di noi volesse intraprenderlo, prima ancora del cinema, prima ancora del singolo film da proiettare. A mio avviso quello è stato il primissimo segnale che un progetto del genere può e potrà funzionare.

Essendo questo progetto partito da una passione condivisa, avete avuto modo di pensare a obbiettivi futuri, a dove un percorso del genere potrà portarvi?

Francesco C.

Sicuramente spesso si è divagato, anche durante le assemblee, su possibili progetti a lungo termine e proiezioni future. Ad esempio una due giorni durante i quali invitare ospiti che stimolino partecipazione, o anche un nuovo ciclo di film che ruoti intorno a un nuovo tema. Tuttavia, l’obiettivo è ed è sempre stato il permettere agli studenti e alle studentesse di rivendicare, di riappropriarsi di un loro spazio di confronto, non soltanto in termine fisico, all’interno della Sapienza. Per chi studia cinema, che abbia la possibilità di praticarlo all’interno dell’università stessa e non solo, così come per chi studia altro, che abbia la possibilità di praticare non tanto la materia in se, quanto soprattutto una passione da portare avanti e condividere con il resto della collettività. C’è da dire che un obbiettivo tangibile non c’è. Forse così dev’essere.

Sofia

Vero è che l’obiettivo di crescere, di espandersi e di dialogare con il mondo esterno alla Sapienza esiste. Il progetto del cortometraggio, ad esempio, rappresenta sotto questo aspetto un trampolino di lancio, per proporre il nostro metodo e magari presentare il nostro lavoro in ambienti diversi e più importanti.

Francesco N.

Ci tengo comunque a sottolineare il fatto che la proiezione è solamente l’effetto finale. La nostra vera prerogativa poggia sul discutere su cos’è il cinema, su come il cinema interloquisce con la società e dove ciò può portare, oltre a offrire la possibilità e lo spazio agli studenti di cinema per valorizzare i loro studi. Questo perché, banalmente, accedere ad accademie o a rinomate scuole di cinema è estremamente difficile, vuoi per ragioni economiche o di natura diversa.

Sofia

C’è anche da dire che rompere la campana di vetro attorno al meraviglioso mondo del cinema, se non hai agganci o comunque possibilità superiori alla norma, è al giorno d’oggi una cosa molto complicata. Così come l’ambizione di proporre, di mettere in questione modalità, metodi, tematiche, è diventata oramai difficilmente concretizzabile. Qui abbiamo la possibilità di creare un laboratorio che ci permetta di produrre e di portare avanti un percorso e un metodo che appartiene a noi. Di fare cinema, perché no, in modo diverso.

Un’ultima cosa che mi piacerebbe chiedervi riguarda il vostro personalissimo rapporto con il cinema, perché pur condividendo questa passione, ognuno di voi la vive in modo diverso. In che modo dunque il cinema comunica con voi personalmente?

Francesco N.

Io sono fruitore totale. Apprezzo praticamente ogni tipo di cinema, pur non definendomi esperto. A mio avviso il bello è proprio questo: non siamo un collettivo di tecnici; non ci sono eccellenze nel campo. C’è chi è appassionato di regia, chi di sceneggiatura. L’elemento unico sta proprio nella varietà di personalità, che stimola il confronto, se vogliamo.

Sofia

L’eccellenza magari, messa tra mille virgolette, sta proprio nell’essenza di questo percorso: riunire diverse storie e diverse visioni in un unico insieme, creare dibattiti dopo le proiezioni, unire la teoria di alcuni alla pratica di altri, creare dunque una mente comune, che ci aiuti ad allargarci e a crescere insieme.

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