Crocevia della morte – Il Cinema Gangster secondo i Coen

Antonio Lamorte

Ottobre 29, 2019

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Crocevia della morte – Il Cinema Gangster secondo i Coen

Un cappello nero vola in mezzo agli alberi, spinto dal forte soffiare del vento. Nessuno, però, sembra inseguirlo. Dopotutto non c’è niente di più ridicolo di un uomo che insegue il proprio cappello. Parola di Tom Reagan.

Che cosa rappresenta quel cappello? La perdita di un affetto? Sfortuna? Un sogno da inseguire? Morte? Oppure è semplicemente un sogno come un altro, destinato a rimanere impresso nella memoria per poco? Tom cerca delle risposte a questo sogno, e le cerca proprio mentre si trova a doversi giostrare tra due clan mafiosi in guerra, come una sorta di Arlecchino servo di due padroni. Ma lui non ha davvero padroni.

Fin dalle prime sequenze di Crocevia della morte, Tom Reagan appare come un personaggio sicuro di sé, un uomo che, prima di aprire bocca, valuta perfettamente il peso delle parole, un tipo brillante che riflette bene prima di agire. Il suo è uno spirito libero e sfuggente. La sua mente non è schiava di nessuno, se non di un personale codice d’onore. Ma è il suo cuore a soffrire, perché batte per una donna impossibile da raggiungere.

Crocevia della morte
“Crocevia della morte”

Ed è proprio per colpa di questo sentimento impossibile da controllare che la situazione degenera. Nulla in affari deve essere ridotto a una mera questione personale. Tuttavia, come tutti i migliori gangster movie ci insegnano, non è mai del tutto possibile separare gli affari dalle questioni private; Tom, per quanto furbo e brillante, rimane pur sempre un uomo.

Se si osserva con attenzione la filmografia dei fratelli Coen è facile accorgersi che, come tema caratterizzante di tutte le loro pellicole, ci sia sempre l’uomo in tutta la sua smodata imperfezione. Troviamo persone che, mossi dalle loro pulsioni e ossessioni, agiscono, sbagliano, spesso perdono.

E Crocevia della morte non fa eccezione. È dipendente dal gioco, perde a carte, scommette sempre per il cavallo sbagliato, si indebita con persone che sono disposte a uccidere per il denaro. Forse più che dipendente dal gioco, sarebbe più corretto dire che ne è un sincero amante. Se non fosse stato amante del rischio, del pericolo, perché mai avrebbe iniziato una relazione con Verna, la moglie del suo boss? Questa relazione, questo amore tutto sommato sincero e passionale, è il McGuffin che scatena gli eventi, che libera la mente di Tom dalle catene della fredda razionalità, che scatena il sogno che lo ossessiona.

Un cappello che svolazza in un luogo indefinito, non sottomesso alle crudeli leggi del tempo che passa, come una sorta di mondo parallelo, quieto e silenzioso, contrapposto alla rumorosa e violenta città.

L’amore è la più grande fragilità di quest’uomo; una passione proibita, come quella che il principe Paride prova per Elena, un sentimento puro talmente forte da fare scatenare una guerra. Da questo amore, però, nasce anche altro: la pietà. In un mestiere come quello di Tom, che si trova a contrattare con personaggi poco raccomandabili, la pietà è un lusso che nessuno si può permettere. Men che meno un uomo nella sua posizione.

Crocevia della morte
“Crocevia della morte”

La pietà viene scoperta da Tom nello stesso momento in cui capisce dove si trova il luogo che sogna da tempo; si tratta di Miller’s Crossing, un crocevia fuori città, in mezzo alla natura spietata, dove giacciono coloro che non sono morti serenamente. In questo posto la gente si reca principalmente per due motivi: per uccidere e per morire. Ed è proprio qui, quando Tom si reca per uccidere, che scopre la pietà. Un piccolo residuo di umanità, risalente ai tempi in cui l’uomo non aveva ancora imboccato la via del male.

Uno slancio puro della sua anima buona, ben nascosta da una solida corazza di arroganza.

E così il sogno si rivela essere stato un presagio, un piccolo accenno di quel che sarebbe accaduto successivamente. Il cappello è l’oggetto a cui Tom è più legato; il cappello rappresenta la ragione, la sua identità, il suo essere calcolatore e manipolatore, la sua temperanza e saggezza. Tutte caratteristiche relegabili alla mente che si contrappongono all’odio, alla voglia di vendetta, all’ossessione per qualcosa impossibile da avere. In fondo, Tom non è poi così diverso dal Josh Brolin di Non è un paese per vecchi; sono due uomini fondamentalmente buoni, mossi da principi tutto sommato sani, ma che, per colpa dei sentimenti, delle pulsioni, di quelle imperfezioni insite nella natura umana, sono costretti a fronteggiare qualcosa di molto più grande di loro.

Ed è con la consapevolezza della sua imperfezione che Tom gioca l’ultimo atto nella partita più importante della sua vita; un gioco fatto di bluff, di carte scoperte e di azzardi. Ma che cos’è che si vince? Nessuna gloria eterna, nessuna consacrazione; dopotutto non si sta parlando affatto di eroi, ma solamente di persone fragili indebolite da ambizioni e desideri. L’unico premio in palio in questa assurda partita consiste nel rimanere vivi. Ma c’è anche un prezzo da pagare. Si tratta proprio di questi desideri a cui si dovrà tristemente rinunciare.

Tom, un uomo che non insegue il proprio cappello che vola via col vento, è consapevole di tutto questo e lo capisce a Miller’s Crossing, il crocevia della morte in cui si è confrontato con se stesso, barattando il suo amore per la sua vita.

Con un’eterna corsa, i Coen disegnano la perpetua insoddisfazione dei loro personaggi, come narreranno nelle loro successive pellicole. Crocevia della morte è una gemma luminosissima all’interno di una filmografia costellata di capolavori e cult, un film che non ha nulla da invidiare a opere come Fargo e Non è un paese per vecchi; un tesoro da riscoprire e da custodire nel cuore palpitante di ognuno di noi.

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