Paolo Strippoli – Ripensare il cinema horror italiano

Lorenzo Sascor

Gennaio 14, 2023

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Tante volte negli ultimi anni si è sentito parlare di rinascita del cinema di genere italiano, fenomeno che dal 2014 ad oggi ha investito gran parte della produzione del nostro paese (in questo articolo abbiamo parlato di uno dei protagonisti di questa rinascita: la Groenlandia film). Nonostante i generi protagonisti di questo risveglio siano principalmente l’action e il fantasy, anche l’horror sta conoscendo un momento di vivacità.

Il cinema italiano ha una tradizione horror molto salda, grazie alle opere di autori come Mario Bava, Dario Argento, Michele Soavi e altri, amati non solo in Italia ma anche all’estero, dove sono diventati modelli per tanti altri registi del genere.

La maschera del demonio (Mario Bava, 1960), uno dei film horror italiani più influenti della storia

Negli ultimi anni si sono susseguiti casi di horror indipendenti italiani che hanno avuto poca circolazione nei circuiti tradizionali, ma che comunque hanno fatto parlare di sé, quali ad esempio Il mistero di Lovecraft – Road to L. (2005) di Federico Greco e Roberto Leggio, mockumentary sulla scia di The Blair Witch Project.

Ad imporsi con più solidità è stato The Nest – Il nido (2018) di Roberto De Feo, film che ha ricevuto ottimo riscontro dalla critica e dal pubblico, diventando un titolo ricorrente nei dibattiti circa il nuovo cinema italiano. Il nome Roberto De Feo non è ricordato solo per questo, dal momento che proprio De Feo ha un ruolo significativo per la figura di Paolo Strippoli.

Paolo Strippoli è uno dei giovani registi più promettenti di questo nuovo horror italiano.

Studia regia al Centro Sperimentale e dal 2013 al 2020 dirige numerosi cortometraggi che si muovono tra il thriller e il drammatico, anche con derive fortemente sperimentali: un esempio è il cortometraggio Senza tenere premuto (2019), realizzato esclusivamente attraverso storie Instagram. Tra le sue principali ispirazioni cita il J-Horror, a cui si unisce una passione per i maestri occidentali contemporanei (si veda Ari Aster) e, in particolare, per l’horror di ambientazione famigliare.

Quali tratti possiamo cogliere dello stile di Paolo Strippoli, esponente del nuovo cinema di genere italiano, dai suoi primi film?
Senza tenere premuto (Paolo Strippoli, 2019)

A Classic Horror Story: decostruire il genere

La svolta per Strippoli arriva nel 2021 con A Classic Horror Story, co-diretto insieme a Roberto De Feo e prodotto da Netflix. Questo progetto nasce durante le riprese di The Nest e l’idea iniziale è quella di un horror classico di ispirazione statunitense. De Feo propone a Netflix di affidare il progetto a Strippoli, il quale rivede la storia, revisione dopo revisione, quello che era partito come un racconto horror classico diventa qualcosa di ben diverso.

A Classic Horror Story segue un format narrativo che il cinema italiano sta adottando con costanza in questo risveglio del genere. Possiamo parlare di glocalismo, ovvero l’utilizzo di strutture riconoscibili a livello internazionale per raccontare una storia ancorata al contesto sociale e culturale italiano. E così A Classic Horror Story basa il proprio essere horror sulla tradizione folkloristica del sud Italia e, in particolare, arriva a costruire una mitologia attorno ad un fenomeno profondamente radicato nel territorio e nell’immaginario associato all’Italia: la mafia. La minaccia al centro del film è rappresentata proprio da tre figure di origine folkloristica a cui si fa risalire l’origine della ‘ndrangheta.

A Classic Horror Story (Roberto De Feo e Paolo Strippoli, 2021)

Come si è detto, però, A Classic Horror Story, a dispetto del titolo, non vuole essere un horror tradizionale.

Come suggerito anche da tutti i paratesti promozionali che lo hanno preceduto, questa pellicola vuole offrire una riflessione metatestuale proprio sul genere horror, come già era stato fatto da altri titoli internazionali che avevano riscosso ben più successo, come Quella casa nel bosco (2011).

Il film di De Feo e Strippoli, però, non si limita a questo e offre un ulteriore livello di metariflessività, legato profondamente al cinema italiano contemporaneo. A Classic Horror Story è il risultato critico e consapevole del nuovo cinema di genere italiano, non è semplicemente un film che si inserisce in questa corrente, ma un’opera che arriva addirittura a riflettere su questo fenomeno in prima persona. Il finale del film, infatti, rivela che dietro a tutto l’orrore a cui si è assistito c’è un aspirante regista (interpretato da Francesco Russo) che vuole realizzare un horror avanguardista.

Quali tratti possiamo cogliere dello stile di Paolo Strippoli, esponente del nuovo cinema di genere italiano, dai suoi primi film?
A Classic Horror Story

Questa scoperta, insieme alla scena che chiude il film, in cui assistiamo ai commenti di un immaginario gruppo di spettatori, esplicita l’interesse di A Classic Horror Story, ovvero interrogarsi sul cinema italiano di oggi, un cinema che si sforza di riappropriarsi del genere, con risultati non sempre all’altezza delle ambizioni, e che deve costantemente fare i conti con un pubblico ancora scettico.

Piove: Paolo Strippoli e l’horror di famiglia

Nel 2022 esce al cinema Piove, primo lungometraggio che Paolo Strippoli dirige da solo e con cui vince il Premio Caligari al Noir in Festival. Il film, una co-produzione italo-belga, ha ambizioni produttive minori rispetto a A Classic Horror Story, ma la stessa volontà di sperimentare con il genere.

Va detto però che Piove è un horror più classico rispetto al precedente, quantomeno per il suo restare allineato all’interno dei paletti del genere dall’inizio alla fine. Tuttavia, a fronte di uno svolgimento forse troppo prevedibile in alcuni frangenti, è un film con forte personalità estetica e visiva, che ha inoltre la capacità di creare un’atmosfera dark molto ispirata con picchi di grande violenza.

Proprio questo aspetto ha fatto sì che Piove finisse al centro di un dibattito mediatico: poco prima della sua uscita in sala è stato vietato ai minori di diciotto anni per via delle scene di violenza. In seguito al ricorso fatto da Strippoli, il divieto viene abbassato ai quattordici anni.

Quali tratti possiamo cogliere dello stile di Paolo Strippoli, esponente del nuovo cinema di genere italiano, dai suoi primi film?
Piove (Paolo Strippoli, 2022)

A detta dello stesso Strippoli, Piove è un film che vuole utilizzare il genere per parlare della società italiana di oggi: è un racconto che prende avvio da un’anomalia metereologica che diventa metafora di un malessere generale contemporaneo, senza dubbio acuito dalla pandemia degli ultimi anni.

Piove, quindi, racconta una società in crisi, ma questo non è che il primo livello.

Ad un secondo livello, entra in gioco quella dimensione famigliare che Strippoli annovera tra i propri interessi narrativi. Al centro della storia, infatti, c’è l’abisso affettivo tra un padre e un figlio (interpretati rispettivamente da Francesco Rongione e Fabrizio Gheghi), che verrà risolto solo nel finale.

Si tratta di un approccio molto maturo al genere, che ha visto anche all’estero casi di grande successo (Hereditary, 2018) e che se da un lato sembra essere uno dei tratti caratteristici dell’horror contemporaneo (e non solo), dall’altra si ricollega a un soggetto tipico del cinema italiano.

Innovare con tradizione, quindi, sembra essere il paradigma che ritroviamo anche in Paolo Strippoli e che, se seguito con intelligenza, potrebbe essere la chiave per continuare a raccontare con originalità le declinazioni dell’horror nella società contemporanea.

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